Comunicato Stampa: “LA CITTÀ INVISIBILE”: Detenuti in viaggio contro la violenza
Si chiama “La città invisibile” il viaggio teatrale ispirato a “Le città invisibili” di Italo Calvino che andrà in scena venerdì 8 aprile 2016 nella casa circondariale di Cassino: protagonisti saranno i detenuti della sezione protetta, attori di uno spettacolo in bilico tra quel che siamo e quel che invece potremmo essere, tra il mondo reale e i molti mondi possibili, che si conclude con l’obbligo morale di cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio, come Marco Polo spiega all’imperatore dei tartari Kublai Khan alla fine del testo di Calvino. Un’opera aperta, un girovagare tra desideri e paure, tra regole assurde e prospettive ingannevoli: un’immersione nella realtà, fatta di spigoli, nonsense e deviazioni improvvise. Come la vita.
Lo spettacolo, inserito nel cartellone del Festival di teatro civile Cassino Off, diretto da Francesca De Sanctis, e tra le iniziative intraprese per la ricorrenza della Terza Giornata Mondiale del Teatro in carcere, è l’evento conclusivo di “Parole che aprono i tuoi occhi al mondo”, il progetto dell’Associazione culturale “Tutto un altro genere”, sostenuto con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese (Unione delle Chiese Valdesi e Metodiste) e avviato nella casa circondariale di Cassino lo scorso marzo. Con un duplice obiettivo: promuovere in carcere – dove la relazione con il femminile è preclusa e spesso mistificata – una narrazione maschile contro la violenza di genere e spostare l’attenzione dalle donne agli uomini, in linea con la campagna di sensibilizzazione HeForShe lanciata dall’Onu. Un doppio target che si è concretizzato in un’azione binaria, supportata dalla direzione e da tutta l’area educativa dell’istituto: laboratorio di scrittura per i detenuti comuni, conclusosi lo scorso 30 gennaio, e laboratorio teatrale per i detenuti della sezione protetta.
«La scelta del testo di Calvino come guida e contenitore del laboratorio teatrale – spiega Paola Iacobone, conduttrice del laboratorio teatrale e regista, insieme a Vincenzo Schirru, della performance finale – è stata dettata dalla volontà di avere un riferimento forte, ma al tempo stesso ampio. Che ci permettesse di viaggiare al suo interno, prendere quanto fosse necessario e costruire dell’altro. Come scrive l’autore stesso: «Ciò che rendeva prezioso a Kublai ogni fatto o notizia riferito dal suo inarticolato informatore era lo spazio che restava loro intorno, un vuoto non riempito di parole. Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero, perdercisi, fermarsi a prendere il fresco, o scappare via di corsa». Per noi, come per il gran Kan, questo spazio vuoto è stato l’elemento più prezioso del testo di Calvino. Uno spazio in cui i partecipanti hanno potuto inserire le loro improvvisazioni, gli esercizi sul corpo e sulla voce, la loro città invisibile». In scena saranno nove attori che interpreteranno Marco Polo, Kublai Kan e le città di Ersilia, Diomira, Smeraldina e Eutropia. Con canti, musiche dal vivo e una città scritta dagli stessi detenuti: Marina.
Come afferma la presidente di Tutto un altro genere, la giornalista Manuela Perrone, «l’esperienza teatrale indirizzata ai detenuti protetti, isolati dagli altri in un settore ad hoc, ha voluto sviluppare il lavoro di gruppo e la socializzazione, nonché la riscoperta della sfera emotiva e degli strumenti per gestire le relazioni in modo da rispettare gli altri e se stessi. Una riflessione personale e di gruppo sulla propria condizione, vissuta attraverso il corpo e la voce, la propria e quella degli altri: un processo di embodiment che il teatro favorisce e amplifica. Con la performance finale, ogni detenuto potrà avere un’approvazione pubblica e un riconoscimento, nel contesto carcerario e all’esterno, in una veste diversa da quella abituale». Più in generale, “Tutto un altro genere” testa sul campo l’efficacia del rafforzamento dei fattori protettivi rispetto al rischio di recidiva, ricercando nella socialità e non nell’isolamento la prevenzione dell’aggressività e della violenza. Non soltanto contro le donne.
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